The Last Guardian - Un compagno indissolubile
Il 2016 è un anno che forse ricorderemo per i vari videogiochi usciti, o che forse cadrà nel dimenticatoio. Questo perché i titoli usciti sono stati molti, è vero, ma forse non all'altezza del passato, senza rifarci ad un senso di inutile nostalgia. Purtroppo è vero, la qualità dei giochi ha subito un freno forte, potente, e solo pochi titoli possono elevarsi alla dura prova del tempo e della storia. Poniamoci una domanda: quale titolo uscito sarà da noi ricordato nell'arco della nostra vita?.
Ovviamente la risposta varia da soggetto a soggetto, ma si può oggettivamente affermare che, allo stato attuale, pochi titoli meritano davvero un posto nel sacro Olimpo dei giochi. The Last Guardian, con uno sviluppo fatto di attese ma anche di grandi promesse, si è candidato fortemente ad essere una perla di questa generazione PlayStation 4. Queste premesse sono state mantenute ed avvalorate? Lo vedremo nel corso della recensione, ma possiamo anticipare di non voler minimamente scendere nei dettagli di questi sviluppo travagliato. Il nostro focus rimane sul gioco, sull'esperienza che è in grado di donarci. Abbandoniamo così le vesti da giocatore per immedesimarci in un bambino senza nome, bloccato in un luogo semi-distrutto con pietre accatastate a terra e, soprattutto, una possente bestia davanti a noi. Ci viene subito spiegato essere Trico, una creatura mitologica mangia-uomini particolarmente temuta, inserita in un bestiario che ci viene dato conoscere unicamente in una intro iniziale piuttosto blanda. Così, con poche premesse all'attivo, si viene lanciati direttamente nel cuore pulsante del gioco. La scelta migliore dato che, dopo molto tempo, si può finalmente senza troppi fronzoli gustare a pieno il gameplay di questo gioco che mira a raggiungere l'ambita vetta videoludica. Lì dove davvero pochi sono mai riusciti.
Una bestia mitologica per amica
Nei panni di un bambino molto abbozzato, sia dal punto di vista estetico sia dal punto di vista delle informazioni che ci vengono date su di lui, ci si ritrova ad aprire gli occhi ed a trovarsi di fronte quello che, nei vari trailer, è sempre stato il punto di forza del gioco. Trico, una possente e maestosa creatura mitologica simile ad un grifone, ma dai connotati simili ad una combinazione di animali come cane, uccello e gatto, si mostra davanti a noi in condizioni abbastanza preoccupanti. La creatura appare ferita e sofferente, ma tutt'altro che incline a cedere alla nostra bontà di aiutarla. Del resto Trico è una nota bestia mangia-uomini. Così inizia l'avventura vera e propria, il preambolo fondamentale sia per entrare in sintonia con Trico, sia per prendere confidenza con il gameplay del gioco ed i tasti che utilizza nel joypad. Si salta, si cercano meccanismi con cui interagire, tutto al fine di sbloccare la situazione e fare in modo che la storia proceda. La difficoltà del gioco emerge immediatamente, complice il dover essere sempre attenti a capire la direzione da intraprendere, o comunque cosa fare. Gli aiuti all'interno del gioco sono pochissimi, e provengono quasi esclusivamente da Trico che con la propria mimica facciale riesce ad esprimersi alla perfezione. Proprio Trico, come detto precedentemente nel corso di questa reazione, sembra essere il piatto forte di questo titolo rilasciato da Sony. I suoi movimenti sono studiati alla perfezione, così come anche l'espressione del volto che riesce ad esprimersi anche senza l'ausilio della voce.
L'inizio del gioco corrisponde quindi anche all'inizio della amicizia, da uno stato di forte ripudio ad un altro fatto invece di vicinanza. Proprio la creatura, che non voleva aiuto e probabilmente ci vedeva soltanto come una cena poco sostanziosa (causa la statura minuta), si ricrede in seguito ai nostri gesti e inizia a venirci dietro. The Last Guardian inizia proprio da qui, da questo legame che si crea e che, progredendo all'interno del gioco, si rafforza sempre più in una spirale senza ritorno. Un sentimento forte, delizioso, puro. Una poesia vivente, scritta e disegnata da Fumito Ueda, che non può che colpire i videogiocatori, anche quelli più ostici e meno inclini a questo genere di giochi.
La storia procede e diviene sempre più chiaro in cosa consiste il gioco, ossia in una serie di enigmi ambientali da sciogliere spesso e volentieri con l'aiuto del nostro nuovo amico. Cunicoli, pareti da rompere o da scalare (oppure sorvolare, a seconda dei casi), tutto per una storia che ci viene narrata dall'esterno, da una voce onnisciente e matura, che lascia subito trapelare qualche informazione aggiuntiva. Informazioni che vengono trasmesse al videogiocatore soltanto per induzione, e per intuizione, ma che mai vengono accertate immediatamente. I frammenti di storia devono essere colti dal videogiocatori e fatti suoi con il tempo, con la fatica, e perché no, anche con una sensazione di frustrazione che a volte diventa forte. Non sempre, infatti, i passaggi sono logici e immediati, lasciando il bambino correre in lungo ed in largo senza trovare una soluzione. Perché se la voce fuori campo è onnisciente, di certo non lo è anche il giocatore di turno. Una difficoltà oggettiva, che però non deve abbattere e che è necessaria, anche perché è su questo che il titolo si basa e si fonda. Per risolvere molti passaggi all'interno del gioco è necessario l'aiuto del nostro amico pennuto, Trico, creando una vera e propria dipendenza dal proprio compagno che valorizza ulteriormente il legame instaurato. Barili dopo barili, che gli si deve lanciare come cibo, Trico prende sempre più confidenza e arriva a mostrarci aspetti di sé nuovi e particolarmente utili, come una progressione non scritta ma solamente vissuta. Ci mostra quindi capacità nuove, sconosciute, fondamentali per proseguire all'interno del gioco. Il tutto unito ad elementi sconosciuti, quasi mistici, che accompagnano la storia e che coinvolgono specialmente il "fortunato" bambino.
L'eredità di dieci anni di sviluppo
No, come abbiamo detto nel preambolo iniziale non abbiamo desiderio di parlare di questo lungo e tortuoso periodo di sviluppo. È importante, certo, ma non completamente inerente a quello che il prodotto finale è veramente. Tralasciando quindi motivazioni varie, facciamo piuttosto i conti con quello che di buono, o di cattivo, ha lasciato. I punti di forza sono evidentissimi, e sono stati anche calcati nel paragrafo precedente della recensione. La storia è emozionante, da vivere intensamente, carica di emozioni di cui i videogiochi ormai da anni sono puntualmente svuotati. Finalmente, proprio come in Final Fantasy XV, la storia torna ad essere importante e soprattutto toccante. Nonostante la differenza di genere, questi due giochi riescono alla perfezione per motivi diversi a raggiungere il cuore di chi gioca. In questo caso, ossia quello di The Last Guardian, a giocare una parte fondamentale di questa emozione è lo splendido rapporto che si instaura tra Trico e il bambino che ci troviamo ad impersonare. Poco importa se Trico in una fase iniziale non si fida di noi, e probabilmente ci vede come dei nemici, quello che è appunto interessante è la progressione che viviamo in prima persona con lui. Un rapporto che si evolve, di cui siamo artefici in prima persona e che non ci viene imposto come dato dall'alto, di cui noi non siamo fautori.
La grafica del gioco è generalmente molto bella, soprattutto per quanto riguarda Trico. Lui è curato davvero nei minimi dettagli, addirittura nel modo in cui ci guarda. Il movimento del corpo è splendidamente realizzato, ed ancora più bello è vedere le piume che si muovono, si agitano, talvolta cadono in seguito a movimenti rapidi o istantanei. Si potrebbe rimanere minuti e minuti ad osservare Trico, senza progredire nel gioco, solo per gustarsi a pieno questo compagno che, a nostro avviso, è e continua ad essere il punto di forza dell'intero gioco. La grafica ambientale è fatta bene, nonostante qualche problema dovuto all'avvicinarsi eccessivo della telecamere che mette in mostra una poca cura verso i dettagli. Niente di trascendentale, dato che è l'effetto che molti conosceranno anche a causa (o grazie) a giochi come Fallout 4 et similia. Brutti a vedersi, certo, ma comunque egualmente godibili. Quel che forse meno ci è piaciuto ad essere onesti è la realizzazione del bambino che, in una grafica comunque oggettivamente fatta abbastanza bene, cozza moltissimo. Un vero e proprio pugno in un occhio, dato che si mischia il realismo di Trico e dell'ambiente ad una figura (quella del bambino) che mostra invece connotati diversi, più disegnati e "sognanti". Gusti, certo, ma è una scelta che non ci ha convinti fino in fondo, anche solo per la differenza troppo forte con il resto, che finisce assolutamente per stridere.
Un'altra eredità di questi dieci anni di sviluppo sono alcuni movimenti del personaggio a volte un po' troppo macchinosi, come ad esempio nel caso della scalata. Montare sulla zampa di Trico per raggiungerne la schiena spesso risulta essere abbastanza ostico, questo a causa di una gestione piuttosto antiquata della cosa. Ad accompagnare questa difficoltà anche una gestione della telecamera non ottimale, che finisce spesso per perdersi e per risultare molto difficile da gestire (ma mai completamente ingestibile) all'interno di spazi chiusi. In generale, comunque, sono proprio le questioni legate al movimento ed alla visuale a far ricordare, e un po' pesare, questi dieci anni di sviluppo nell'economia globale del gioco.